04 settembre 2009

Logos (2002)

L'attrazione preferita delle feste era la cosiddetta roulette.
Attorno al tavolo una piccola folla di soldati, in gran parte ufficiali delle SS.
Una donna veniva legata alla ruota, Christian Weber – capo del Partito Nazista di Monaco, ubriaco come al solito la faceva girare.
Quando la roulette finiva la sua corsa – l'uomo davanti a cui si era fermata la donna legata – aveva il compito di violentarla sotto gli occhi di tutti.

Il palcoscenico è un luogo in cui si torna come studenti, si ripetono i testi all'infinito, si prova e si riprova, e bisogna avere il coraggio di arrivare fino in fondo.
Un attore, sul set o in scena, è comunque uno che scende in arena e affronta il toro. Ma se il cinema gioca sui disequilibri (e io li amo: amo la fragilità, anche la mia, il dubbio, l'ambiguità), nel teatro il piacere nasce dal rapporto.
Sei lì per amore del lavoro, dei colleghi, dei testi, del pubblico.

Amo recitare da sempre, e, mi verrebbe da dire, purtroppo. Essere gli altri è una passione particolare, pericolosa.
Da piccola dicevano che non avevo identità, ora è il mio mestiere, non averla.
Per questo mi appassiona tanto.

Il mio lavoro risulta sempre difficile, fatico ancora a estrarre una parola, a modulare con le giuste sfumature il periodare nervoso di Gadda.
Ma la differenza è che prima ero ansiosa, depressa, ora ho una pazienza dolce.
La mia concezione del lavoro è artigianale, umile: sono come una domestica che spolvera, come un minatore.
Noi siamo nel caos e aspiriamo all'ordine, tutta la vita è in mezzo a questi due poli.
E un artista lavora sul caos e sulla disperazione per estrarre una forma, un senso, come Dio quando fece il mondo, appunto dal caos.
E la religione per me è soprattutto rivelazione: cerco e attendo che le cose e le persone si avvicinino, mi vengano incontro, mi entrino dentro. Io sono nuda, vuota.
L'importante è restare disponibili, aperti.
Anche il filosofo Husserl aveva una bella espressione su questo protendersi verso il mondo, che Sartre introdusse con “S'eclater vers”, slanciarsi fuori, esplodere verso.
Io mi apro, accolgo, abbraccio.
Quando dai la mano a un tuo amico, quando baci la persona amata, ti perdi, ti annulli.
C'è il bacio, non ci sei tu. L'uscire da sé è essenziale.
Solo allora sei l'equilibrio nel caos dell'esistenza, sei una specie di santo. Le persone che vogliono mettere ordine, dare una legge al mondo, sono arroganti, violente. Io non so nulla, ma è buona cosa non sapere nulla, così non abbiamo fiducia delle nostre opinioni, non ci chiudiamo.

Accettare l'ignoranza mi consente di raggiungere la pace.

Certe volte mi sento come se fossi malata, ma altre volte è come se non avessi bisogno di nessuno. Ora mi occupo di ciò che mi succede dentro. Cerco di provare tutte le emozioni – e di comportarmi di conseguenza – senza lasciarmi suggestionare da quelli che pensano male.
Il futuro non c'è. Il passato è dieci minuti fa ed è già coperto di polvere.
Il presente? Non c'è nemmeno – lui e io siamo sempre altrove. Vorrei innamorarmi.
Ho bisogno di una persona al mondo perché non ho nessuno. Sono sola e mi sento sola.
Sino adesso non ho avuto la possibilità di costruirmi delle amicizie.
O forse è colpa mia – perché sono terrorizzata dai rapporti umani. Vedo che le persone cambiano.

Io sono la prova vivente che smentisce l'opinione secondo cui la vita insegnerebbe a vivere.

Io sono figlia di una cantante lirica. I primi nove mesi della mia vita li ho passati dentro uno “strumento musicale”. Da tempo sento più forte il rimpianto del ventre materno, dove stare tutta sola, all'interno.
Spero di averti detto qualcosa che rimarrà nel tuo cuore. Ho una gran paura dei prossimi mesi di sole e solitudine. Allontanarsi per avvicinarsi. Posso abbracciarti?
Con gli uomini bisogna spiegarsi, si perde tempo. Con le donne bisogna guardarsi, respirarsi, siamo la stessa cosa.

Indagare sulla genesi e sulla natura dei sentimenti, mi sarà utile per un bisogno inconscio di dare ordine al caos degli eventi.
L'amore come malattia si nutre di una carica affettiva inconsueta, corporea.
...a farmi soffrire è la consapevolezza di una fragilità, grave, sostanziale. Non posso sostenermi da sola, colmare il mio vuoto, non mi basta amarti, voglio tornare a fidarmi ciecamente, senza ombre dell'oggetto reale del mio sentimento.
Sei la mia voglia di vedere il futuro, il sorriso del figlio che mi darai, il tepore del mio corpo.
Le tue lettere mi fanno sentire il senso di questo mondo, mi fanno sentire le spalle coperte quando potrò mescolarmi con te.


La mia paura più grande è quella di essere abbandonata.
Sei stato necessario per attraversare il dolore e indagare nel profondo di me stessa, e uscirne rinnovata.
Mi hai fatto scoprire l'essenzialità della vita: d'un tratto ti rendi conto che tutto il resto non è più nulla, non è mai stato nulla.
In nome dell'amore si accetta qualsiasi tipo di trasgressione e a volte anche qualsiasi nefandezza.
Le nostre vite si riempiono così di facili innamoramenti e di brividini vanitosi che ci gratificano, ci esaltano, ci appagano.
Forse sarebbe opportuno interrogarci su questi amori e chiederci ogni tanto se siamo effettivamente capaci di amare.
Io credo che la complementarietà fra un uomo e una donna costituiscano i presupposti della vita e quindi della nostra sopravvivenza.
Ma tutto ciò che ci circonda ci condiziona e ci disorienta, rendendo sempre più difficile e problematico il rapporto intimo fra due che vogliono costruire un progetto comune profondo e duraturo.

Mi piace mostrare il mio corpo, sentirmi osservata. Ma di una donna di cinquant'anni ci si può fidare, è docile, una preda: questo piace molto agli uomini. Tutte le felicità sono uguali. Tutte le infelicità sono diverse.

Da giovani si è egoisti, insicuri. Anche ciechi; è col tempo che si impara a guardare, a toccare, a gustare.
Col tempo sono diventata un bel contenitore. E non parlo del mio corpo, che ha perso l'acerbo disegno della mia adolescenza. Parlo di quello che riesco a tenermi dentro: uomini, amori, figli.
Amici, lavoro, cibo.

Confesso che mi sono portata dietro l'infanzia un po' più a lungo del tempo dovuto...
Evidentemente, era un mio bisogno e io ho imparato a fidarmi dei miei bisogni.
Imparare a riconoscerli, sapere cosa si vuole dalla vita, significa rispettare sé stessi.
Io ho perso mio padre molto presto e mi sono trovata un vuoto d'affetto molto grande da colmare...
Essere bambini è una garanzia per ricevere amore, abbandonare l'infanzia è pericoloso, è un momento di grande fragilità.

Il mio mestiere è come una valigia aperta da non chiudere mai.
Vanno a finire dentro abiti stupendi e stracci.
Ora sei una regina, ora una puttana.

Abbiamo avuto la fortuna di vivere grandi storie d'amore, da mia nonna che fuggì con il suo uomo, a mia madre che mi diceva: “Non esiste al mondo un uomo straordinario come tuo padre”.
Gli uomini ci hanno ripagato adorandoci e accettando questo matriarcato latente.
Sin da ragazzina – io mi sono sempre sentita una principessa; e allora se un uomo vuole conquistarmi deve farsi in quattro; forse non ho avuto storie con attori perché sono troppo narcisi.
Certo sulla seduzione ho avuto grandi lezioni sin da piccola. Avevo sette cugini e un fratello: me ne facevano di tutti i colori, tanto che una volta mio padre disse: “A questa figliola bisognerà mettere le mutande di amianto”. C'era sempre qualche cugino che mi spiava dietro una porta...
Ma era inevitabile. E poi anche divertente. O no?
Che brutta sarebbe la vita senza uomini.
Gli uomini mi danno equilibrio, sicurezza. O non sarà che sono io a darlo a loro? Chissà.

24 marzo 2002

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