04 settembre 2009

CERCASI DRAMMATURGO — interpolazioni ininterrotte (2001)

NOTA DI PRESENTAZIONE
Cercasi Drammaturgo è una chiamata a raccolta dei fantasmi e dei demoni che ossessionano l'autore, la calata in una tonalità monocroma nera, dove l'ironia ha le tinte plumbee del sarcasmo e della crudeltà.
Un drammaturgo in crisi. La vita segreta e le aspettative del pubblico divengono la materia prima dell'opera.
Dopo aver incendiato un computer comincia la processione delle persone — personaggi che salgono sul palco e raccontano la vita–opera.

Drammaturgo= Sono stato forse inutile, ma comunque lieto di aver speso la vita a scrivere. Ho iniziato perchéa casa mia venivano molti ospiti e non li sopportavo quasi mai.
Restavo nascosto ore-ore così per ingannare il tempo scarabocchiavo qualcosa.
Staccavo i margini bianchi delle riviste e scrivevo lì. Scrivere è imparare a sapere, si scrive perché si è vista la parola che stava dietro la parola.
La poesia, molto più dell'espressione teatrale o romanzesca, è la rivelazione della parola che stava nascosta. Ogni parola pronunciata è falsa, ogni parola scritta è falsa. Ogni parola è falsa. Ma che cosa c'è senza la parola? La materia prima del teatro non è l'attore, lo spazio, il testo, ma l'attenzione, lo sguardo, l'ascolto, il pensiero dello spettatore. Il teatro è l'arte dello spettatore. Come quel poeta dai sensi particolarmente acuti, di cui parlava Baudelaire. Ogni spettatore, anche quando non lo sa, percepisce ora attraverso le lenti grandi e ora attraverso le piccole di un immaginario binocolo. Osserva l'insieme a distanza, poi è risucchiato da un dettaglio. Chi scrive non è mai solo: visibile o invisibile, ha di fronte a sé un interlocutore che lo obbliga a far ordine nei pensieri, a porre freno alle emozioni, a tener conto di una molteplicità di punti di vista, a valutare esteticamente le sue espressioni. Insomma, a prendere la distanza da quei vissuti caotici e incandescenti...
Abbasso il pubblico passivo, seduto, un pubblico di spettatori, di consumatori. Liberiamo il teatro dal testo e dal dio-autore, mettete a nudo la carne della parola.
L'autore del dramma è proprio lo spettatore: perché il modo in cui lo spettatore riceve le emozioni completa l'opera. Il teatro è materia organica, palpitante, sul tavolo anatomico in rilievo e a grandezza naturale, dove assistiamo alla cruda esposizione delle viscere, degli umori interni, delle debolezze, dei tormenti e delle ansie, con la ferocia di una sincerità che non teme gli eccessi e che abbandona qualsiasi cautela.
Il teatro è materia viva, è fisica, è presente. Il cinema è il fantasma di questa materia, della realtà fisica, più reale talvolta della realtà stessa, nella misura in cui questa, poiché effimera, ci sfugge ad ogni istante, mentre il cinema anche se impalpabile ed immateriale, la imprigiona per un certo tempo.
Al nostro tavolo giungono voci, pezzi di conversazione, mozziconi di frasi. Uno si sente come una conchiglia, che di continuo raccoglie materiali. Proprio ieri mi veniva in mente quella bellissima storia che Umberto Saba racconta di una sua poesia dedicata a un commilitone, scritta durante il servizio militare. I versi furono pubblicati e Saba ricevette cinquanta lire. Quando lesse la poesia al compagno e gli raccontò della somma, questi gli spiegò che gliene doveva venticinque perché senza di lui quei versi non sarebbero mai esistiti. E aveva ragione. Questo per dire quanto si è poco autori e quanto si deve alle persone che ci stanno vicine, agli amici, agli sconosciuti, come a queste persone che stanno sedute di fronte a me.

I personaggio= Se fossi sicuro che non suona come una stupida presentazione, direi che sono stato fortunato con le donne. Sono stato molto amato e giuro che non riesco ad attribuirmi meriti speciali. Non mi sono mai sacrificato molto per i sentimenti. Però, mi è capitato che le donne mi volessero, tutte, è stato sempre così.
Quando avevo trent'anni era amore immeritato, che mi si rovesciava addosso: ora qualche merito ce l'ho. Mi sono accorto che nei confronti dei sentimenti possiedo lo stesso atteggiamento che ho verso la mia curiosità.
Tendo sempre a superare qualunque cosa, nel senso che una volta appagata la curiosità, la supero e vado avanti, verso una nuova scoperta. E' la mia indole e mi sono dovuto rassegnare. Non sarò mai pronto per una coppia fissa. Io cerco una donna complice, molto partecipe delle cose che faccio, del tipo di vita che voglio mettere in pratica. E' una donna a metà strada fra una selvaggia e una che sa usare bene la sua intelligenza.
Per qualche tempo l'ho trovata o mi sono illuso di averla trovata. Poi, d'un tratto, la complicità è svanita, l'incanto si è interrotto. E' sempre così – la donna amata vuole essere garantita sul suo avvenire, vuole un nido solido, una famiglia, una prospettiva di futuro. Io invece sono vago, mi entusiasmo per tante cose, sono incostante, ho grandi sbalzi d'umore. Allora, di fronte alle richieste concrete della donna che amo, resto deluso. Come se fino allora si fosse condiviso lo spirito di un viaggio e all'improvviso – lei – nel bel mezzo dell'avventura volesse fermarmi per costruire una casa.
Dio è stata la più grande invenzione degli uomini. Dio non ha inventato niente. Il mondo lo ha creato un altro. Lui lo ha soltanto ordinato e recensito. Il padreterno è un critico letterario. Unico. Il più geniale. Ma anche il più cattivo. Però, fa finta di essere buono.

II personaggio= Ancora oggi fuggo davanti a un amore impegnativo, non voglio coinvolgimenti lunghi. Scappo dai legami e da chi invade la mia routine. Però, mi sento attratto da donne che fanno mestieri forti, direi quasi da uomini. Le donne della mia vita sono state piuttosto forti, decise, non a caso anche il mio manager è una donna. Una volta ho incontrato una ragazza che faceva la burattinaia, un mestiere di famiglia, e girava il mondo con una strutturina, un giorno a Como e un altro a Monaco, ammaliava platee di esseri umani differenti con la sua tenacia e la sua fantasia. Ebbene, questa donna giovane, italiana, deliziosa, mi ha incantato, per la sua intelligenza, per la sua scelta di rimanere fuori dagli schemi del mondo. La gelosia è tormentosa, ma non si può separare dall'amore. Dell'amore, anzi, ha più d'uno dei caratteri fondamentali: l'intensità, la morbosità, la violenza. Quanto a me, mi trattengo, mi controllo: anche se di natura sono possessivo. Ma la persona posseduta in quel modo non è più la stessa, ma quella che noi vorremmo che fosse. Si sa che la vita coniugale è spesso faticosa, noiosa, non di rado persino
drammatica.I matrimoni riusciti non sono quelli che rincorrono una felicità superficiale e spesso impossibile. I matrimoni riusciti sono quelli in cui al di là di un rapporto doloroso e magari crudele, l'intesa è comunque reale e profonda.

Drammaturgo= Erano tempi senza respiro. Tempi in cui si credeva in quello che si faceva. Si tirava mattina lavorando. Si discuteva in continuazione, e si cercava di fare sempre meglio. Il teatro ci aveva catturato. Stavamo nel buio, mentre fuori c'era il sole. Ed eravamo felici di vivere come i topi e le talpe perché
la sera la gente veniva ad ascoltare ciò che scrivevo e ciò che gli attori facevano rivivere sul palco.
A me, bastavano gli applausi per ritrovare l'energia di mettermi subito a tavolino per un altro spettacolo.
Per quanto mi senta ancora bene e vitale, sarei stupido se non facessi quattro conti, e non mi rendessi conto che il teatro mi ha rubato la vita. A me, che amo la vita come un animale. E che è solo dalla vita che prendo linfa per i miei spettacoli. Per tutta la mia esistenza non ho fatto che lavorare appassionatamente, quasi io fossi un monaco, e il teatro la mia religione, sempre però cercando di rubare, rosicchiare scampoli, briciole, brandelli di spazi, per vivere. E giuro che la fatica e la lotta sono state immani. Io non sono un intellettale che, terminato il suo lavoro, passa il resto del suo tempo a leggere, a studiare, a pensare. Non appartengo alla razza degli uomini pallidi ed emaciati, che si nutrono di riflessioni e pensieri. A me piace follemente il mare, adoro il sole e le donne. Ho bisogno dell'amore, dello sport e degli animali, del cibo e del
vino, della terra e dei suoi odori. Di tutto ciò che io amo, ho preso soltanto fettine, campioncini. Non ho fatto neppure un figlio, perché altrimenti sarebbe vissuto come un orfano. Alle donne che ho amato ho regalato minuti. Adesso, a conti quasi fatti, mi chiedo se ne valesse la pena. E rispondo in maniera diversa a seconda dei momenti. Certo, talvolta mi viene la nausea del teatro. Certo, ci sono volte che mi viene da urlare e sbattere la testa contro il muro, perché ho la certezza di aver gettato via la mia vita inseguendo fantasmi. Ma non sempre è così. Alla fine, il teatro vince. E io vengo di nuovo trascinato in quel buio, mi dimentico del tempo che passa. Anche per me – arriverà l'ultima scena. E avverrà quello che ha previsto Cechov: sul palcoscenico arriverà qualcuno e spegnerà le luci.

III personaggio= Attualmente sono l'amica-amante di un bell'uomo di dieci anni più grande di me, con una moglie che non lascerà mai (evento che non ho mai desiderato), con un grazioso figlioletto (l'unico che mi fa venire qualche senso di colpa), di cultura inferiore alla mia e con un carattere forte e spontaneo.
Dalla sera del primo bacio sono trascorsi quattordici mesi di lunghe e assidue telefonate in cui entrambi ci siamo confidati – instaurando un dialogo completo. Ci siamo visti poco perché non abitiamo nella stessa città, parliamo per ore di sesso al telefono facendone poco: primo per esiguo numero di incontri e poi perché io non ho mai avuto un rapporto completo e non intendo averlo con lui. Lui ne è consapevole e accetta.
Più di una volta abbiamo cercato di interrompere la nostra “favola”, ma resistiamo al massimo due settimane. Io, nel frattempo, ho avuto una storiella di poca importanza e qualche revival con un ragazzo a cui voglio bene. 
Vorrei sapere perché un uomo si tiene un'amante vergine alla quale telefona ogni volta che è solo in casa e perché una ragazza alimenta un rapporto pur sapendo che non potrai mai costruire un futuro insieme.
Mai nessuno è stato così costante e premuroso, dalla mia famiglia ai miei ragazzi: ho trovato una miniera d'oro dalla quale non potrò mai attingere.

IV personaggio= Era di mattina poco prima di Pasqua, un giorno freddo ma con il sole. Avevo dormito, come accadeva ormai da quattro mesi, nella poltrona accanto al letto di mia moglie.
Erano soltanto le sette, ma nella stanza c'era già una bella luce.
Da quando si era ammalata, Mirella non voleva più chiudere le tende. “Ho bisogno di guardare fuori”, diceva. Noi abitiamo, cioè, io abito, in periferia, però dalla nostra camera si vedono i tetti del centro di Bologna. Ho aperto gli occhi e lei era sveglia. Mi sono sentito in colpa: chissà da quanto tempo mi stava guardando, con quegli occhi che dicevano tutto l'amore che sentiva e tutto il dolore che provava. Da settimane le cure palliative non facevano più nulla, né i farmaci, né la morfina. Il suo corpo era devastato. Mirella non riusciva più a parlare. Però quella mattina me l'ha chiesto: fallo. Aiutami. Mi sono sentito perduto, non volevo rinunciare a lei. Le ho detto: aspettiamo ancora un giorno. Ha fatto “no”, muovendo la testa sul cuscino. Allora ho rispettato il patto: le ho preso la mano e l'ho aiutata a morire, così come mi avevano insegnato a Ginevra gli amici dell'associazione EXIT. Le ho dato quel farmaco, si è addormentata, e poi il suo cuore ha smesso di battere.
Era domenica, otto mesi fa, e da allora non c'è stato pomeriggio che io non sia andato al cimitero.
Mirella è lì sotto, Mirella era il mio amore.

V personaggio= Io sono dalla parte di quanti credono nell'assoluta santità di un albero e di una bestia, nel diritto dell'albero, della bestia, di vivere serenamente, rispettati, tutto il loro tempo. Sono dalla parte della voce increata che si libera in ogni essere, e delle dignità di ogni essere – al di là di tutte le barriere – e al rispetto e all'amore che si deve loro.
Com'è bello pensare strutture di luce e gettarle come reti aeree sulla Terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra. Oggi sono i vecchi i nuovi ebrei. Deportati senza bracciale giallo dentro ospizi e ospedali. I vecchi fanno parte di un'altra razza: quella anagrafica. Mentre l'unica degna oggi è la razza economica. Ma non possiamo più parlare di nazismo né di razzismo. Queste pestilenze sono scoppiate con violenza un giorno, ma poi sono entrate nelle cellule della nostra vita.
La giustizia è quella parola che si arroga il diritto di far morire in carcere un uomo solo perché ha rubato.
Che peccato è il furto davanti all'assassinio? Davanti al disprezzo del dolore? Il carcere se non vi sono pericoli per altre persone, rimane un arbitrio e un orrore. Il soccorso, quello sì è la giustizia. Correre per chiunque gridi sete o fame o disperazione. Siamo tutti colpevoli di mancato soccorso. E se qualcuno osa ricordarlo viene lapidato.

Drammaturgo= Quando mi innamoro di un personaggio comincio a fabbricargli intorno una storia, ma il processo dell'invenzione in me si compie a piccole tappe. Sulla loro vita faccio ricerche accurate, mi preoccupo della loro sorte, vado a scartabellare in biblioteca. Solo dopo che l'intero arco della loro esistenza si è chiarito, comincia la stesura vera e propria.
A forza di inseguire la realtà, si corre il rischio di allontanarsi dalla verità. Quando un personaggio del passato attira la mia attenzione, io come un cane da tartufi corro a cercare l'ambiente dove è vissuto, vado a tastare il terreno, a sentirne l'odore. Ma spesso non mi basta e allora sono costretto a improvvisarmi fotografo.
Fotografo i luoghi per fissarne nella memoria ogni dettaglio che finirà nel testo. La stesura vera e propria è come un passaggio sotto le forche caudine... Persuadersi a stare a tavolino ore e ore, non è per nulla esaltante, ma è indispensabile. Per fortuna, sono un artigiano molto coscienzioso e non mi sottraggo a qualsiasi fatica, quando il testo prende corpo attraverso le parole.
Scrivere è costruire architetture senza mostrarne le travi portanti, dissimulando con una capriola i movimenti-chiave del racconto. Si scrive a millimetri per volta, con passo di formica. Un mestiere orribile. Posso fare a meno di scrivere? Anche se ho più zie che spettatori...

VI personaggio= Sono nato il primo maggio, come la madonna e Karl Marx. Faccio esorcismi dalla mattina alla sera. Arrivo a una quindicina al giorno. In più di vent'anni ne ho fatti circa quarantamila. Per liberare una persona dalla possessione diabolica servono almeno quattro benedizioni al ritmo di una a settimana.
Ci sono gradi diversi di possessione: vessazioni (disturbi di carattere malefico senza la presenza del demonio), fatture, legature, maledizioni, macumba, voodoo, dirette contro le persone o la casa. E poi le infestazioni diaboliche vere e proprie che portano alla disperazione e al suicidio.
Gli strumenti del mio mestiere sono: il sale esorcizzato, l'olio che guarisce chi ha mangiato una sostanza “malefica”, l'acqua benedetta che richiama il battesimo cristiano, i dieci comandamenti, le salviette di carta e un secchiello per quelli che vomitano e sputano. Dalla bocca degli indemoniati esce di tutto: chiodi, catenelle, pipe, pupazzi, pezzi di bambole, perfino una cuffia stereo. Questi oggetti li conservo gelosamente, li catalogo con una targhetta con la data dell'esorcismo.
Durante la benedizione bisogna chiedere: chi sei? Dimmi il tuo nome?
I “pezzi grossi”, Satana, Beelzebul, Lucifero, Zabulon, Asmodeo, sono ossi duri, difficili a vincersi. Uscito allo scoperto il demonio tenta di mortificare l'esorcista. Gli dice: “Tu non conti niente, questa persona è mia, da qui non mi caccia nessuno”. Lo minaccia di morte. Rivela i peccati del posseduto, episodi che nessuno potrebbe conoscere. Quando sta per uscire grida la sua sconfitta: “Tu mi hai ucciso”. Durante gli esorcismi la persona si agita, a volte è necessario legarla perché dimostra una forza sovrumana.
Drammaturgo= La rappresentazione delle tue parole su un palcoscenico ti fa sentire capito e accolto. Dietro quegli spettri c'è quello che ha costituito la molla per scriverlo, come l'amore per certe persone, il ricordo di personaggi, situazioni.
Trovo molto gratificante essere riuscito a far condividere cose che mi stanno particolarmente a cuore. Scrivere è pronunciare l'ultimo giudizio su sé stessi. Prima pensavo che il pubblico non esistesse. Mi dicevo: “Non scrivo per lui...”. Prima pensavo che il drammaturgo era come se proiettasse il risultato del suo lavoro su uno schermo. Quello che passa sullo schermo lo riguarda, con chi si trova ad assistere. Forse per caso.
Oggi so che gli spettatori sono le persone raccolte in una sala per assistere a uno spettacolo. Il pubblico è qualcosa di diverso, almeno in parte sono quelli che ti seguono, che ti amano. Al limite, può far parte del pubblico anche qualcuno che non ha mai visto uno spettacolo. Non so se sono stato chiaro.
Shelley scrive un'ode al critico e conclude dicendo: “Quello che io faccio è mosso dall'amore, come potrei odiare te?”. Poi c'è Jean Bloy, intelligenza francese del tardo ottocento, che dà questa definizione: “Critico è colui che cerca ostinatamente un letto in un domicilio altrui”. Un individuo losco, occhialuto, che siede al buio, odia quello che fa. Della gente siede attorno a un tavolo, fanno le prove, poi si vestono e si truccano. Questa sera l'opera verrà letta a memoria – in costumi e parrucche, si potrebbe scrivere nella locandina. Il critico scatta qui - nell'ossequio del testo a mente, mentre Oscar Wilde reclamava giustamente il critico come artista.
Il testo si fa garante della salute dello spettatore, di una morale, di frutti etici e il critico sorveglia, vigila a che quest'ossequio ci sia stato e che – per carità – forse sono stufi di andare tutte le sere a teatro, solo perché stipendiati. Non sono da invidiare perché andare a teatro oggi è una punizione severa, la peggiore.
Dante non ci ha mai pensato a inventare una bolgia, ghiaccia e impraticabile, dove costringere un dannato a recarsi a teatro ogni sera. L'invito che rivolgo a quei signori – i critici – non invitandoli mai a teatro è che si astengano dalla recensione, perché un teatro dove si dà scrittura di scena, senza la cadaverina del testo, non merita di essere giustiziato, punito, mediato.
Per me – scrivere è un esercizio mimetico per cui mi identifico con i miei personaggi, solo per il tempo della scrittura, naturalmente, perché spesso si tratta di loschi figuri, ladri, assassini, persino un antropofago.
La scienza soprattutto la fisica, è oggi la vera avanguardia della scrittura. Man mano che ci avviciniamo al famoso “mattone primordiale” ci accorgiamo che la materia, intesa nel senso tradizionale, non esiste e che la fisica a quel punto si identifica con la metafisica.
Dai presocratici in poi non si era mai verificata una rivelazione così radicale dei nostri rapporti con il mondo, ammesso che il mondo esista.
Scrivere è stata la ricchezza della mia esistenza, la mia felicità. Mi sembra di vedere tutti gli uomini e le donne che ho contribuito a creare camminare su un filo: rappresentano il mio amore per la vita. Per la sua luce.

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